Voleva vederli di nuovo. Voleva parlare con loro, chiedergli da dove venivano, chi erano, cosa facevano là. Li aveva scoperti una mattina che la mamma era sul ballatoio con lei a costruire i mobiletti per la casa delle bambole con gli avanzi dei legni regalati dal signor Mancia, il falegname toscano che aveva la bottega sotto casa loro. Mamma aveva una fantasia incredibile. S’inventava fiabe di mille colori con qualsiasi cosa le capitasse in mano. Le davi un oggetto e lei ci creava storie fantastiche o lo modificava per farlo diventare un giocattolo o qualcosa di utile. Papà diceva: “Ma dimmi tu se devi raccattare tutte ‘ste cose…”. Mamma, serafica, rispondeva. “Tranquillo, vedo già quello che sarà.” E, puntualmente, quella cosa si evolveva, come una splendida farfalla che esce fuori dal bozzolo. Quel giorno le aveva chiesto di andare a prendere le forbicine sul comò, in camera da letto. Non appena era entrata, li aveva “sentiti”. Non si può non sentirli. S’era girata e li aveva visti. Non ebbe paura, anzi. Eppure… Stavano proprio là, nel bel mezzo del fascio di luce che si allungava giù dal finestrone rettangolare, per lei lontanissimo. Non dicevano nulla. Si avvicinò e li guardò bene. Si muovevano ondeggiando, quasi a seguire il leggero fremito di vento che palpitava, a tratti, tra la camera e la cucina. Brillavano d’argento e d’oro. Alcuni anche d’un bianco strano. Allungò la mano per toccarli, ma si scostarono. Sentì una voce: “Ti piacciono?” Annuì, incantata, con la manina ancora tesa nella luce. “Allora te ne farò toccare uno”. Qualcosa, in quel momento, la sospinse in avanti e uno di loro le si posò in mano, dolcemente, graziosamente. Smise di respirare. Lo vide raggomitolarsi tra la linea della vita e quella del cuore, intonse e fragili, ancora. Sorrideva, estatica. Era semplicemente felice di essere. Essere e basta. Ora, era di nuovo là e, di nuovo, anche loro. Il fascio di luce l’aveva aspettata. Ce n’erano molti di più, ora. Non voleva più fare domande. Hmm… forse, solo una. Allungò la mano, aspettando che uno di loro ci si posasse sopra. Vi si adagiarono in cinque. Sorrise beata e chiese: “Chi siete?” La voce rispose: “Pulviscolo”.
Eterea
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Pubblicato da La Narratrice
Penso, sogno, scrivo, parlo, rido, piango e poi, di nuovo, penso, sogno, scrivo, parlo, rido e piango... ma, prima di tutto, comunque e sempre, AMO. Mostra tutti gli articoli di La Narratrice
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