Dieci bottiglie. A fine vendemmia si ritrovavano sempre e solo con dieci bottiglie da distribuire alle famiglie cui faceva capo Celestino Mezzagra, centenario ormai. Dieci bottiglie. Non una di più, non una di meno. E non le vendevano. Qualcuno cercava di comprarle quand’ancora i grappoli erano in fiore. Si dice che ci vogliono 100 giorni per passare dal fiore d’uva al frutto. Nessuno ci pensa mai ma, anche l’uva fiorisce e profuma d’una fragranza simile a quella dei fiori che anelano ad essere impollinati dalle api. Ma l’uva no. All’uva non interessano gl’insetti. Lei s’autoimpollina, da brava ermafrodita. E peggio per voi se non capite perché profumo lo stesso, dice l’uva. D’estate i bambini dei Mezzagra si rincorrevano attraverso i pochi filari del misterioso vitigno. Don Serafino non aveva mai voluto moltiplicarlo. Diceva che se mai si fosse cercato di farlo, d’anche solo un alberello, grande disgrazia sarebbe accaduta. E così, sferzati dal crudele vento d’aprile, riscaldati dai confortanti raggi di maggio, inebriati dai profumi d’albicocca di giugno, arsi dall’insolente sole di luglio e agosto i fusti di legno nodoso arrivavano a settembre per essere potati. Quell’anno Don Serafino morì a gennaio. Uno dei nipoti di città decise di fottersene della tradizione e vendette una delle bottiglie all’asta ricavandone ben 3500 euro. Fu così che tutti i componenti della famiglia di Don Celestino morirono, uno dopo l’altro, nel giro d’un mese; pure il cretino che aveva venduto la bottiglia. Che uno, certe cose, dovrebbe saperle prima d’agire. Oppure, dei vecchi, ci si dovrebbe fidare e basta. Che Don Celestino, mica le poteva dire certe cose… tipo che… durante la Prima Guerra Mondiale, ferito e in punto di morte, s’era appoggiato al vitigno per caso e invocando Dio, la Madonna e tutti i Santinparadiso, s’era ritrovato davanti, invece, uno dei soliti angeli del Diavolo che, desideroso d’essere carne viva e sangue vero, gli aveva detto: “Infonderò me stesso in questo vitigno e ti lascerò vivere se lo coltiverai solo per te e la tua famiglia; nutrendovi del nettare di questo vitigno sarò carne della tua carne, sangue del tuo sangue e vivrò attraverso i geni della la tua stirpe.” Eh sì… quand’uno è pirla, è pirla…
Vite e vitigni
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